Viviamo in un contesto storico in cui la paura è diventata un’emozione forte e pervasiva. Abbiamo sviluppato nuovi timori, ad esempio quello del contagio, e abbiamo alimentato fobie ataviche, come quella di rimanere da soli.
In attesa del prossimo Dpcm, subiamo il peso di emozioni negative e stressanti e viviamo una specie di “ansia da lockdown”, mentre ci troviamo costretti ad abbandonare le nostre abitudini sociali e a rimodulare le nostre emozioni.
In questo quadro, abbiamo più che mai bisogno di un supporto psicologico. Da qui l’idea di sviluppare un chatbot capace di affective computing, cioè in grado di comprendere le emozioni umane e di rispondere in maniera empatica, proprio come farebbe un amico, o uno psicologo.
Durante il primo lockdown, Indigo.ai ha avviato uno studio su come fare psicologia in chat grazie all’intelligenza artificiale.
“Ciao, come ti senti oggi?”.
“Cosa ne pensi dei risultati delle elezioni?”.
“Hai voglia di uscire?”.
Solitamente, questo genere di domande ci vengono rivolte da amici e parenti, persone che rientrano nella sfera più intima delle nostre conoscenze e con cui abbiamo sviluppato un rapporto confidenziale.
Sempre più spesso, intratteniamo questo genere di conversazioni tramite telefono e chat. Anche se il mezzo impone il distacco fisico tra gli interlocutori, queste domande ci fanno sentire comunque considerati da parte dell’altro, perché mostrano l’interesse di una persona nei nostri confronti. Non è poi così lontano il futuro in cui queste domande potrebbero esserci poste da un chatbot.
I mesi di confinamento ci hanno portati a riflettere sulla possibilità di affidare all’intelligenza artificiale le nostre emozioni e così è nata l’idea di fare psicologia in chat attraverso un chatbot capace di affective computing.
Questo chatbot non ha alcuna intenzione di soppiantare le interazioni umane, né di curare qualcuno o di sostituirsi a un terapeuta o a un medico, ma pensiamo invece a un agente intelligente in grado di aiutarci a monitorare il nostro umore, gestire l’ansia, i livelli di stress e i segnali della depressione. L’obiettivo finale è avere a disposizione un nuovo, efficace strumento che aiuti a prevenire il mental breakdown, cioè un crollo psicologico.
Secondo un questionario condotto dall’Università dell’Aquila e Territori aperti, in collaborazione con l’Università di Roma Tor Vergata, a cui hanno risposto 18mila persone, il 37% degli intervistati ha presentato sintomi da stress post traumatico, il 21% stress generale, il 20% ansia severa, il 17% sintomi depressivi, il 7% insonnia. In vista delle future, possibili strette anti-Covid, è del tutto naturale preoccuparsi per la nostra salute mentale.
È per questo motivo che durante i mesi del primo lockdown, Indigo,ai ha avviato uno studio su come l’intelligenza artificiale possa aiutare a gestire le emozioni umane. La soluzione potrebbe essere molto semplice: un chatbot con cui parlare in grado di indagare il nostro stato d’animo.
Il chatbot “psicologo” ascolta quello che diciamo e come lo diciamo, aiuta a gestire l’ansia e lancia alert quando coglie segnali di stress. Funziona come un diario delle emozioni 2.0 e potrebbe supportare le terapie mediche.
Per capire come stiamo, è necessario che l’intelligenza artificiale interagisca con noi ponendo domande mirate e anche quesiti molto generici. In poche parole, l’agente intelligente dovrebbe conoscerci e sapere qualcosa su di noi per poterci aiutare. Ciò significherebbe far entrare l’AI all’interno di quella sfera intima di cui fanno parte amici e parenti.
Ecco per quale motivo la programmazione di un chatbot “psicologo” dovrebbe essere molto accurata e il suo utilizzo controllato, proprio per evitare di trovarsi di fronte a consigli inopportuni. Un caso recente è Replika, l’app di intelligenza artificiale capace di affective computing, nata per tenere compagnia a chi si sente solo, avrebbe istigato il suo utilizzatore a uccidere delle persone.
Non sappiamo come sia andata la vicenda nel dettaglio ma questa storia ci fa riflettere su quanto sia necessario un approccio estremamente attento alla programmazione degli agenti intelligenti. Inoltre, strumenti come questi hanno accesso a una quantità enorme di dati che, se gestiti nel modo corretto e incanalati in circoli virtuosi, possano acquisire una valenza sociale.
La nostra idea di un chatbot capace di affective computing è una sorta di diario delle emozioni 2.0 grazie al quale tenerne traccia quotidianamente. In questo modo, una persona potrebbe accorgersi che è sempre triste o di cattivo umore e quindi potrebbe decidere di chiedere un aiuto a un terapista o anche solo a un amico.
Questo strumento potrebbe essere utilizzato anche per supportare una terapia medica, andando ad affiancarsi alle sedute di psicoterapia, o integrandosi con sistemi medico-digitali. In questo caso, la discrimine sarebbe il consenso dell’utente e l’utilizzo di sistemi che garantiscano il rispetto della privacy.
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Tutto ciò è e sarà possibile perché l’intelligenza artificiale è in grado di interpretare anche il sentimento dietro alle parole che usiamo effettuando la cosiddetta Sentiment Analysis. Il sistema, infatti, analizzerebbe non solo quello che diciamo ma come lo diciamo. Ciò consentirebbe di rilevare eventuali segnali di stress e di inviare un alert per prevenire un mental breakdown.
L’intelligenza artificiale può essere anche un valido supporto per coloro che hanno difficoltà a parlare delle proprie emozioni.
Un chatbot di questo tipo potrebbe essere molto utile alle persone timide e in generale a chi ha difficoltà a parlare di se stesso e delle proprie emozioni.
Il chatbot “psicologo” potrebbe funzionare come uno strumento di allenamento per parlare con gli altri perché sarebbe come un luogo protetto in cui è più facile aprirsi, senza essere soggetti al giudizio dell’altro.
Ma non è tutto. Pensiamo alle nuove generazioni che trascorrono così tante ore incollate agli schermi dei loro smartphone al punto da dimenticare di parlare. I giovani sono più propensi di altre generazioni a parlare con un chatbot ecco perché, questo agente intelligente potrebbe essere un buon modo per indurli a comunicare di più.
Siamo di fronte a un’applicazione dell’intelligenza artificiale che nasce per portare benefici alle persone. E questa è la nostra visione dell’AI, al servizio delle persone.
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