La crescita dei sistemi di messaggistica spinge il web marketing a puntare sempre di più su assistenza virtuale e chatbot ma non si può investire in una nuova tecnologia solo per inseguire un trend. Scopriamo quando un’azienda dovrebbe dotarsi di un chatbot.
Viviamo un’epoca in cui le tecnologie evolvono così velocemente da impattare e influire sulle nostre abitudini di tutti i giorni.
Un esempio è l’utilizzo delle piattaforme di messaggistica che stanno soppiantando, almeno in parte, l’uso (e l’installazione) di applicazioni.
Per farci un’idea del fenomeno sono utili i numeri sull’utilizzo degli smartphone in tutto il mondo, relativi al 2015-2016.
Il numero di sessioni degli utenti sulle app di chat e social fa registrare una crescita annuale del 44%, superando così sport (43%) e business (30%).

Secondo lo studio il tempo passato sulle app, rispetto al tempo totale speso su smartphone, sta avendo una crescita anno per anno del 69%.
Un trend trainato da messaggistica e social che raggiungono picchi di crescita del 394%. Seguono a distanza dalle app di business e finanza (43%).

Questi dati testimoniano la forte battuta d’arresto che sta vivendo il download delle applicazioni.
Chatbot: il loro nuovo ruolo e la crisi delle app
Uno studio prodotto da comScore ha certificato una massiccia riduzione ddei download negli Usa: il 66% degli utenti che possiede uno smartphone non scarica più nessuna nuova applicazione.
Inoltre anche il numero di tool usati quotidianamente segnano una regressione.
Nel 43% dei casi vanno da un minimo di 4 a un massimo di 6 per dispositivo. Soltanto il 8% degli utenti ne usa più di 10.

Tra queste app, compaiono sicuramente quelle di messaggistica.
Una notizia davvero significativa è che le chat hanno superato ormai anche i loro Social Newtork di riferimento.
Facebook, Twitter, Instagram e Google+ sono state sorpassate, in termini di utenti attivi mensili, dalle 4 principali app di instant messaging (WhatsApp, Facebook Messenger, WeChat e Viber).
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Più di 3 miliardi di persone utilizzano almeno un’applicazione per scambiarsi messaggi e trascorrono la maggior parte del tempo passato su smartphone proprio sulle piattaforme di messaggistica.

Per comprendere la portata del fenomeno a cui stiamo assistendo, è interessante quello che ci dice l’indagine realizzata da Ubisend che approfondisce quanto e dove l’utenza vuole interazioni con le aziende.
Dall’analisi emerge come il 50,6% degli utenti desideri una presenza online dei brand 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Attraverso quale mezzo?
Dopo decenni di primato e assenza di concorrenza, la classica e-mail resta il canale preferito per il primo contatto con le aziende con il 69.9%, ma vede accorciarsi drasticamente la distanza con le chat (30.1 punti percentuali).

Per i contatti successivi, invece, lo strumento preferito resta la posta elettronica (54.2%), Ma la messaggistica è poco distante con il 45,8%.
Anche la cornetta resta molto amata.
Il 50,6% degli utenti manifesta la preferenza nel comunicare con i brand attraverso il telefono, seguito però a brevissima distanza dall’utilizzo dell’interfaccia conversazionale (49.4%).

Questi dati parlano da soli e sono il quadro con il quale le aziende stanno facendo i conti.
La mobilitazione è generale.
Nel 2016 erano oltre 60 milioni le imprese presenti su Facebook (fonte: VentureBeat); 1 milione, le italiane.
La crescita annuale di questo dato è costante e si attesta sul 33%.
Ma a fronte di questa massiccia diffusione di pagine aziendali non c’è una loro adeguata gestione.
I dati svelano che le chat aziendali non vengono monitorate come dovrebbero, lasciando nel 60% dei casi senza risposta gli utenti che hanno richiesto informazioni.
I motivi sono tanti. Prima di tutto l’assenza di risorse umane dedicate. Oppure la loro carenza.
Quando si tratta di strutturare call-center per offrire servizi di informazione/servizio basici che non richiedono approfondimenti di problemi concreti, l’automazione delle chat può essere la soluzione.
Prima di tutto dal punto di vista economico, dato che, gli sforzi necessari per un bot sono ben lontanti da quelli richiesti per il sostenimento (onesto) di un ufficio con personale umano.
Chatbot e brand: le avvertenze di Tom Ollerton
Ok. Fin qui, i dati. Ma altra storia è applicare nella realtà quello che in teoria appare perfetto e vincente.

L’aspetto pratico della faccenda lo ha affrontato dal giusto punto di vista Tom Ollerton, il Marketing and Innovation Director (MID) di una delle più importanti digital agencies in circolazione, la londinese We Are Social.
In un articolo del maggio 2016 apparso su CMO.com a poche settimane dall’apertura di FB ai chatbots, Ollerton si domanda: “Are Chatbots Ready For Brands?”.
I chatbots, scriveva (vedendoci giusto), offriranno ai brand “l’opportunità di usare Messenger per agire in modo sempre più personale con i propri consumatori”.
I brand non dovrebbero farsi prendere dalla fretta. Un errore simile è stato fatto con la corsa ai tool dell’App Store
Tom Ollerton, poi, esprime la sua cauta posizione. “I brand non dovrebbero farsi prendere dalla fretta e dal voler essere assolutamente tra i primi a sviluppare soluzioni di questo tipo (…) Essere primi – continua – non vuol dire sempre essere i migliori”.
Un errore simile è stato fatto da molti quando undici anni fa aprì l’App Store. “I brand si sono fiondati nella creazione di app anche soltanto per poter dire di esserci, senza nessuna reale considerazione sul reale valore aggiunto che ci potesse essere dietro”.
Il risultato è stato che “molte aziende si sono trovate tra le mani applicazioni poco utili, che sono finite nel dimenticatoio dopo pochi mesi – a fronte di investimenti evidentemente non del tutto giustificati”.
Il manager di WAS mette in guardia da facili entusiasmi.
“È fondamentale sapere che ci vorrà del tempo, prima che l’intelligenza artificiale sia capace di rispondere a tutte le esigenze”.
Concetto che, ad un anno di distanza, risulta ancora attualissimo.
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“Chiedetevi sempre – scrive l’MID – il chatbot renderà il nostro servizio più veloce, migliore e più economico? Se la risposta è negativa a una di queste domande, potrebbe essere difficile giustificare la creazione di un chatbot al senior management – e ancor più difficile giustificare la sua esistenza agli occhi delle persone”.
Ci deve essere “equilibrio tra le richieste dei brand e i bisogni dell’audience (…). I bot devono fornire contenuti in linea con la personalità della marca e, allo stesso tempo, rispondere alle esigenze dei consumatori”.
Ci vuole un cervello collegato ai chatbot
Sembra di poter concudere dicendo che gli utenti, tutti noi stiamo chiedendo – attraverso le nostre abitudini – un contatto con i produttori di beni e servizi declinato sulle nostre necessità. E che sia disponibile 24/7.
Il segnale è la progressiva migrazione dai mezzi più tradizionali (mail e telefono) verso le applicazioni di messaggistica istantanea.
Questo fenomeno non deve essere abbracciato senza una seria pianificazione e, soprattutto, senza l’utilizzo del machine learning e del NLP.
È fondamentale per comprendere e far parlare al vostro chatbot la lingua dei vostri interlocutori.
Clienti o utenti che siano, la qualità della User Experience è la chiave del successo.
I benefit principali di un chatbot
I benefit che i chatbot possono portare al tuo benefit sono diversi. Ne abbiamo raccolti alcuni in un altro blog post. Considera che questi 9 benefit sono solo alcuni dei benefici che il tuo business può raggiungere integrando un assistente virtuale sui suoi canali.
A questo riguardo, un vantaggio molto importante riguarda la possibilità di personalizzare il più possibile la customer experience dei tuoi clienti. Su questo punto abbiamo registrato un approfondito webinar su come i chatbot possono personalizzare al meglio la customer experience.