L’Intelligenza Artificiale è la disciplina che studia i fondamenti teorici, le metodologie e le tecniche che consentono la progettazione di sistemi hardware e software capaci di fornire all’elaboratore elettronico prestazioni di pertinenza esclusiva dell’intelligenza umana. O almeno questa era la percezione, fino a pochi decenni fa.
L’intelligenza artificiale consente alle macchine di imparare dall’esperienza, adattarsi alle informazioni ricevute e automatizzare mansioni svolte fino a questo momento esclusivamente dall’uomo.
Il termine intelligenza artificiale è stato coniato nel 1956 da John McCarthy ma la ricerca parte qualche anno prima, quando gli studi si iniziano a focalizzare sulla creazione di programmi capaci di imitare il ragionamento umano e le deduzioni logiche.
Nella decade successiva il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti si interessa a questo tipo di tecnologia e inizia a programmare i computer per imitare il ragionamento umano di base. Ad esempio, la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) completa progetti di mappatura delle strade (ponendo le basi per ciò che oggi chiamiamo Google Maps).
Negli anni ’80 e ’90 i computer registrano una crescita esponenziale sia nella capacità di memoria sia nella potenza di calcolo computazionale; ciò consente di sviluppare programmi sempre più complessi nel settore del artificial intelligence e di superare alcune barriere degli anni precedenti. La nuova intelligenza artificiale viene ora applicata per risolvere problemi ancora più complessi, come l’interpretazione del linguaggio naturale, il riconoscimento visivo delle immagini e la rappresentazione generale della realtà.
La miniaturizzazione dei chip e i progressi nella robotica ampliano le applicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale. La tematica tocca ora la stragrande maggioranza delle persone e la grande curiosità che suscita approda nelle sale cinematografiche. Mentre i film di Hollywood e i romanzi di fantascienza dipingono l’intelligenza artificiale come androidi che conquistano il mondo, l’attuale evoluzione delle tecnologie di intelligenza artificiale non è così spaventosa o abbastanza “intelligente”.
Il passo è brevissimo, forse troppo, nelle nostre menti tra pensare all’intelligenza artificiale e l’immaginare un futuro apocalittico in cui le macchine siano super intelligenti e in grado di coalizzarsi e rivoltarsi contro l’uomo, per conquistarlo (comportamento tipicamente umano).
La verità è che al momento le macchine dotate di AI possono al massimo non capire quello che cerchiamo di dirgli.
Al giorno d’oggi le funzioni del AI si applicano a vari settori. L’AI è in grado di guidare automobili, diagnosticare malattie e riconoscere oggetti e persone in fotografia: cosa le manca allora, per governare il mondo?
Dopo molte discussioni, gli esperti del settore sono giunti a definire la creatività e il buon senso come i due fattori umani di cui le intelligenze artificiali mancano e che impediscono loro di fare il salto evolutivo da molti temuto. Per quanto riguarda la creatività, i dubbi sono molti. Esistono software che dipingono quadri, compongono musica, scrivono poesie e i risultati sono tutt’altro che scarsi. C’è addirittura un movimento incentrato sulla produzione artistica dell’intelligenza artificiale.
Certamente, l’AI come la conosciamo oggi ha una grande capacità: funziona combinando enormi quantità di dati. Elabora velocemente le informazioni e utilizza algoritmi intelligenti, consentendo al software di imparare automaticamente dai modelli o dalle caratteristiche dei dati.
Se da un lato, quindi, l’intelligenza artificiale diventa sempre più performante, d’altro lato sta gradualmente cambiando anche il nostro modo di interagire con la tecnologia, un modo fluido, con il susseguirsi di device sempre più all’avanguardia e con funzionalità sempre più variegate.
Con l’arrivo del touchscreen abbiamo lasciato da parte le tastiere e abbiamo iniziato a usare i telefoni attraverso il solo schermo, che è poi diventato uno dei paradigmi di interazione uomo-macchina. Quella che all’inizio sembrava una vera e propria rivoluzione, in realtà non era altro che il più universale modo di comunicare che l’essere umano conosca: con i gesti.
Non c’è bisogno di conoscere lingue diverse dalla propria, o di conoscere il codice con il quale la macchina di fronte a noi funziona. I touchscreen sono così intuitivi che non hanno nemmeno bisogno di essere spiegati: persino i bambini, infatti, giocano con questi device come fosse l’interazione più normale del mondo, perché lo è.
Fastforward dieci anni e siamo di fronte a un cambiamento di simile portata: le interfacce conversazionali stanno diventando il nuovo standard di interazione.
Potrebbe sembrare un’altra rivoluzione ma il filo conduttore è sempre lo stesso: dare la possibilità alle persone di interagire con il mondo nella maniera più naturale possibile. Il linguaggio è la prima interfaccia che ci insegnano per comunicare, è lo strumento che le persone intorno a noi utilizzano ed è il più riconosciuto modo attraverso cui avviene il passaggio di informazioni.
Se gli utenti hanno cambiato il proprio modo di comunicare, le aziende hanno la necessità di adottare un’interfaccia per rispondere alle loro domande. D’altro canto, gestire tutte queste conversazioni manualmente è un’attività impensabile, poiché troppo costosa e time-consuming. Da qui nasce l’esigenza di automatizzare queste risposte utilizzando un’intelligenza artificiale conversazionale.
Quando si uniscono tecnologia, interfacce e linguaggio nasce l’intelligenza artificiale conversazionale.
L’intelligenza artificiale conversazionale è un insieme di tecnologie che consentono ai computer di comprendere, elaborare e rispondere a input vocali o di testo in modi naturali e viene generalmente utilizzato insieme a bot o agenti virtuali intelligenti (IVA). Fatto bene, questo insieme di tecnologie basate su linguaggio e intelligenza artificiale consente alle persone di interagire con sistemi complessi in modi più rapidi e più semplici e aiuta le aziende a fornire servizi personalizzati e supporto su larga scala.
L’AI conversazionale sfrutta i principi del Natural Language Processing (NLP) applicati alla tecnologia, cioè la capacità dei computer di analizzare, comprendere e generare il linguaggio umano, compreso il parlato. La fase successiva del NLP è l’interazione linguistica naturale, che consente agli esseri umani di comunicare con i computer utilizzando un linguaggio normale e quotidiano per svolgere le loro attività.
Chatbot, assistenti virtuali, assistenti vocali sono soltanto alcuni esempi di interfacce conversazionali ormai entrati nella quotidianità di aziende ed utenti.
La più importante delle novità che la diffusione delle interfacce conversazionali sta producendo è il ritorno alla scrittura come elemento prevalente rispetto all’immagine, intesa come raggruppamento dei vari elementi visivi che compongono le pagine delle applicazioni. Siamo abituati ad un web reattivo, che risponde solo se interrogato e soltanto ad una domanda per volta. E sappiamo bene che, il più delle volte, cerchiamo ben più di una risposta.
Facciamo un esempio concreto: l’acquisto di una camicia da donna, nonostante qualche dubbio sul colore e (forse) anche sulla taglia. Per raggiungere il suo obiettivo, il nostro utente alla ricerca del capo dovrà svolgere vari compiti: trovare il modello di camicia sul sito di e-commerce, accertarsi della disponibilità, confrontare le taglie, scegliere il colore e procedere all’acquisto. Diversi compiti, spesso su pagine differenti. Le interfacce dotate di AI conversazionale cambiano questo schema.
Attraverso lo strumento della conversazione si presentano come agenti proattivi che guidano l’utente all’interno della loro memoria, la banca dati nella quale sono presenti molti di quei compiti (informazioni e servizi) che abbiamo incontrato nel caso della camicia da acquistare. Compiti che vengono svolti senza mai uscire dall’interfaccia, attraverso l’interazione con immagini, video, pulsanti e ogni altro elemento multimediale.
I più evoluti sistemi di AI sono quelli sviluppati negli ultimi anni ma in realtà, quello che abbiamo oggi è il risultato di un’evoluzione ormai cinquantennale. La ricerca non si ferma perché mutano le esigenze di aziende e utenti. Indigo.ai è qui per raccontare e per scrivere insieme ad aziende ed utenti il futuro delle tecnologie basate su AI.