La tecnologia più avanzata permette di automazzare soltanto un livello di informazioni basico, quello composto dalle attività più ripetitive e meno qualificante. “La collaborazione tra umani e bot resta fondamentale”, parola di lze Dreyer, Senior Product Manager di Booking
Stando ai Tg e ai giornali di queste settimane sembra essere prossima un’invasione delle macchine pensanti in stile “Terminator 3 – The Rise Of Machines”.

Al tema, la rivista New Yorker ha dedicato la sua copertina del 6 ottobre scorso con un’illustrazione firmata da R. Kikuo Johnson che ritrae un clochard ed il suo cane intenti a chiedere l’elemosina su una strada di una Manhattan affollata di robot.
Una riflessione per paradosso sullo sviluppo del settore del macchine. Ma anche una provocazione, vista la posizione molto aperta che l’artista esprime sull’ingresso dell’automazione nel suo settore.
“I don’t think too many of us choose this field for job security, anyway”, dice Johnson.
Oggi nell’arena mediatica si stanno confrontando, da una parte, quelli aspettano con impazienza la sostituzione degli esseri umani con i robot, dall’altra, chi vede in loro una minaccia per il mondo del lavoro.
Entrambi gli schieramenti sono d’accordo, però, le tempistiche: ormai la conquista dei lavori di concetto da parte della robotica è imminente.
Nulla di più sbagliato.
In una fase storica come questa, in cui l’assistenza automatizzata è per la prima volta al centro del dibattito pubblico, è necessario avere le idee chiare su cosa il machine learning può e non può fare.
Il compito a cui gli assistenti virtuali possono assolvere nell’ambito del customer care è quello di un servizio informativo basico.

I bot possono fornire informazioni che non richiedano ulteriori approfondimenti, né la soluzione di problemi concreti e specifici.
Inutile, quindi, parlare di un’imminente sostituzione in toto del lavoro umano. Anzi.
Il compito a cui gli assistenti virtuali possono assolvere nell’ambito del customer care è quello di un servizio informativo basico.
Ossia, fornire informazioni che non richiedano ulteriori approfondimenti, né la soluzione di problemi concreti e specifici che il singolo utente può riscontrare nella fruizione del servizio o prodotto.
Inutile, quindi, parlare di un’imminente sostituzione in toto del lavoro umano. Anzi.
L’applicazione di un bot conversazionale (vocale o testuale che sia) permette di ottimizzare il rendimento del personale interno ad un’azienda.
I dipendenti, liberati dalle richieste di informazioni facilmente delegabili ad un risponditore automatico, potranno concentrarsi su un livello di assistenza più alto, qualificante e anche più appagante per la loro stessa professionalità.
Lo ha capito molto bene Booking.
L’azienda leader nel settore delle prenotazioni alberghiere online, con un fatturato che nel 2015 ha toccato gli 8,44 miliardi di dollari, ha avviato di recente un chatbot che fa dei limiti attuali del machine learning, un punto di forza.
Le operazioni di Booking spaziano dalla pianificazione del viaggio, alla scelta dell’albergo in base al proprio budget. Senza dimenticare i servizi di pagamento.
La società collabora con alberghi disseminati in 227 paesi in tutto il globo. Sono 25 milioni le stanze che gestisce online, raggiungendo una media di 1,5 milioni al giorno (come se l’intera popolazione di una città come Milano si rivolgesse quotidianamente ai suoi servizi).
È facile intuire, quindi, l’entità e il peso che il customer care ricopre in una realtà tanto grande. Infatti, i dati dell’azienda parlano di 91mila persone che ogni giorno contattano il servizio per ricevere assistenza.
Numeri impressionanti davanti ai quali Booking si è resa conto di non poter fare più fronte esclusivamente con l’esercito di 15mila addetti all’assistenza.
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Pensare di poter gestire 91mila richieste di assistenza al giorno esclusivamente con personale umano è semplicemente follia
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Da qui, la decisione della scorsa primavera di attivare un assistente virtuale.
Un chatbot inizialmente caricato su un’interfaccia in-house, ossia senza appoggiarsi su una delle interfacce di messaggistica esistenti ma realizzandone una ad hoc sul proprio sito.
LEGGI ANCHE: Come creare un chatbot?
Il successo del servizio è stato tale da essere stata necessaria la sua implementazione poco tempo dopo dal suo varo.
La società ha così deciso di integrare il sistema con Messenger. Ma questo non ha significato la chiusura della piattaforma originaria.
Come spiega il CEO Gillian Tans al magazine TOPBOTS, se da una parte l’accesso da FB permette di raggiungere più utenti, dall’altra, la piattaforma sul sito di Booking garantisce un maggiore controllo dei dati e dei processi da parte dei suoi partner.
“Pensare di poter gestire 91mila richieste di assistenza al giorno esclusivamente con personale umano è semplicemente follia”, ha detto davanti alla platea della ChatbotConf 2017 di ottobre scorso a Vienna, la Senior Product Manager della società, lze Dreyer. Ma ha aggiunto “la collaborazione tra umani e bot è fondamentale”.
Ogni query su arrivi e partenze, trasporti e pagamenti, check-in e check-out delle stanze, può riguardare uno singolo oppure una molteplicità di clienti.
Ciò che Booking delega al suo chatbot sono quei compiti che l’analisi dei dati rivela essere altamente ripetitivi e numerosi.
Il chatbot può non comprendere una richiesta oppure la stessa può essere troppo complessa e richiedere un’assistenza su problematiche relative ad un solo e irripetibile caso.
In queste circostanze è lo stesso bot ad allertare i vari centri assistenza che provvedono ad analizzare il problema e mettere in contatto il cliente con un assistente reale.
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La collaborazione tra umani e bot è fondamentale.
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Qualità come la reattività e la capacità di analisi e di problem solving sono appannaggio esclusivo dell’essere umano. Almeno per il momento.
Un altro caso che dimostra come i limiti dei chatbots possano diventare un valore aggiunto per un servizio di assistenza integrato e efficiente è quello che abbiamo raccontato sul nostro blog tempo fa.
Si tratta di AdmitHub un chatbot entrato in funzione nell’estate del 2016 su Messenger usa il mezzo che tra i millennials ha già soppiantato anche i dialoghi telefonici: la chat.
Gli studenti possono affidarsi al robot per ricordare scadenze importanti, ricevere guide esaustive sugli atenei e per avere risposte chiare e immediate ad oltre mille possibili domande.
Orientamento universitario, monitoraggio facilitato dei progressi degli studenti candidati alle ammissioni e maggiore tempo a disposizione per i consulenti (i tutor che si occupano di seguire la preparazione dei candidati) per seguire i singoli studenti. Questi sono i principali benefici che i college pubblici hanno registrato dopo un anno di applicazione del bot.
Probabilmente, la percezione dell’intelligenza artificiale come minaccia è dovuta ad alcuni errori nell’usare gli algoritmi che permettono alle macchine di elaborare il linguaggio umano, producendo effetti disastrosi sulla vita di molte persone.
Questo avviene perché i risultati dipendono sia da come viene strutturato il modello e sia dal tipo di dati che vengono inseriti in memoria.
Fin qui, tutto nella norma. Il probema sorge nel caso in cui la gestione del bot non sia affidata ad una figura professionale con esperienza nell’ambito.
In questo caso diventa molto complicato monitorare la fase di elaborazione dati e, di conseguenza, il livello di errore è molto alto.
È quanto accaduto nell’ultima Riforma dell’Istruzione, il cui algoritmo ha programmato la dislocazione di circa 100mila docenti sul territorio nazionale senza tenere conto della loro provenienza geografica.
Il risultato è stata una ondata di ricorsi con conseguente richiesta di risarcimento dei danni.
È quindi fondamentale la supervisione umana del bot, non solo per evitare danni nell’esecuzione del suo compito base – ossia l’attività di risposta automatica – ma anche per rendere più fluida e personalizzata la conversazione.
Infatti, nel corso dell’elaborazione del linguaggio, l’output (la reazione della macchina all’input dell’utente) viene messo in collegamento con un livello intermedio in cui interviene il NLP – Natural Language Processing per definire con precisione le richieste dell’utenza finale e decidere il modo in cui ci si vuole rivolgere.
Probabilmente, la percezione che si sta diffondendo dell’intelligenza artificiale come minaccia è dovuta ad alcuni errori nell’usare alcuni algoritmi (gli strumenti in base ai quali le macchine elaborano i dati) che hanno a volte prodotto effetti disastrosi sulla vita di molte persone.
Questo avviene perché i risultati dipendono sia da come viene strutturato il modello e sia dal tipo di dati che vengono inseriti in memoria. Fin qui, tutto nella norma.
Il probema sorge nel caso in cui la gestione del bot non sia affidata ad una figura professionale con esperienza nell’ambito.
In questo caso diventa molto complicato monitorare la fase di elaborazionedati e, di conseguenza, il livello di errore è molto alto.
È quanto accaduto nell’ultima Riforma dell’Istruzione, il cui algoritmo ha programmato la dislocazione di circa 100mila docenti sul territorio nazionale senza tenere conto della loro provenienza geografica. Il risultato è stata una ondata di ricorsi con conseguente richiesta di risarcimento dei danni.