Secondo Internetlivestats.com, ogni giorno vengono effettuate circa 3,5 miliardi di ricerche su Google, di cui il 63% proviene da mobile (Merkleinc). In media, una persona lo consulta almeno tre volte al giorno.
Non c’è dubbio dunque, sul fatto che Google sia il motore di ricerca più utilizzato al mondo e che le nostre vite siano ormai completamente pervase dall’utilizzo di questo mezzo per la ricerca di qualsiasi genere di informazione.
Un fatto curioso riguarda però il modo in cui gli utenti effettuano le ricerche su Google. Dall’epoca della sua fondazione – era il 1998! – a oggi, gli algoritmi alla base del suo funzionamento sono diventati sempre più sofisticati ma è cambiato anche il modo in cui gli utenti si rivolgono al motore per interrogarlo.
I due fenomeni sono strettamente interconnessi. Google BERT, ad esempio, è stato certamente un aggiornamento core per il motore, dal punti di vista tecnico, ma è stato anche un aggiornamento necessario per andare incontro al nuovo modo degli utenti di fare domande a Google.
La ricerca, oggi, non è più esclusivamente scritta ma si avvale di altre modalità più accessibili, come la ricerca vocale. Il modo di interrogare il motore di ricerca è sempre più discorsivo.
Ecco che chi si occupa di realizzare siti web o di costituire le strategie per l’ottimizzazione dei contenuti dovrà tenere in considerazione questo nuovo fenomeno e progettare interfacce e contenuti sempre più vicini agli intenti di ricerca dell’utente.
La disciplina che si occupa di questo aspetto del digital marketing è la SEO ovvero l’ottimizzazione dei siti web per i motori di ricerca, ma non è l’unico modo attraverso cui le aziende possono raggiungere gli utenti attraverso le ricerche effettuate su Google.
L’intelligenza artificiale consente di comprendere quali sono gli intenti di ricerca dell’utente e di affinare l’analisi della ricerca semantica restituendo risultati sempre più coerenti e personalizzati. L’intelligenza artificiale è anche in grado di anticipare le intenzioni dell’utente. Google lo fa con i cosiddetti suggest, ad esempio.
Le query di ricerca conversazionali esprimono l’intento dell’utente, cioè raccontano il non detto: quali sono le sue esigenze, aspettative, i bisogni, i dubbi e le paure.
Ciò significa che una query di ricerca potrà essere utilizzata da due o più utenti ma che l’intento non sarà mai uguale. Di conseguenza, anche i risultati restituiti da un motore di ricerca come Google dovranno essere differenziati in base all’utente.
Ad esempio, un utente potrebbe chiedere a Google: “Perché la mia auto fa un rumore metallico” e avere semplicemente l’intento di capire il da farsi, magari quale pezzo acquistare per ripararla.
Un altro utente, invece, potrebbe chiedere la stessa cosa, ma con un intento differente, magari quello di essere rassicurato in merito alla possibilità di continuare a guidare la propria auto senza problemi e senza incorrere in pericoli.
Qui si inserisce la necessità di una comprensione semantica, ovvero la comprensione di ciò che l’utente non dice, ma vorrebbe dire.
Le ricerche vocali sono ottime sotto questo punto di vista, perché si avvalgono di dispositivi e software basati su intelligenze artificiali addestrate a comprendere non solo le parole che l’utente pronuncia, ma anche la sua intenzione “sottesa” e nascosta.
Così, un utente potrebbe chiedere a Google: “Quale casa dovrei avere guadagnando 200 mila euro l’anno?”. Questa query di ricerca potrebbe avere due risvolti diversi.
Il primo potrebbe essere quello legato all’entusiasmo: l’utente vorrebbe poter sognare, entusiasmarsi nel vedere le proposte di case che, magari, al momento non potrà permettersi ma che potrebbe acquistare se cambiasse lavoro o scegliesse un altro stile di vita. Il “sogno” potrebbe, quindi, essere inserito tra gli intenti di ricerca dell’utente.
Il secondo intento di ricerca potrebbe essere, invece, quello della rassicurazione. Magari l’utente vorrà semplicemente capire di non essere poi così indietro rispetto al suo sogno, e vorrebbe pensare di poter arrivare, prima o poi, ad acquistare quella casa tanto ambita.
Ecco che, quindi, l’analisi semantica, ma anche delle emozioni dell’utente, sarà essenziale e potrà diventare un potente strumento di marketing.
Se un tempo nella SEO ci si basava esclusivamente sui contenuti, sulle parole chiave, e sulle semplici query di ricerca, oggi sappiamo che non è più così.
I professionisti del marketing tenderanno ancora ad avere un approccio un po’ vecchio, legato alla transazione, alla necessità di “piazzare il prodotto” utilizzando sempre le medesime tecniche: il desiderio, le potenzialità del prodotto o servizio, il soddisfacimento di una mancanza.
Oggi, però, sarebbe necessario davvero passare a un altro tipo di approccio, molto più moderno e adatto, ad esempio, alle ricerche vocali che gli utenti compiono, ricerche che spesso sono poco coerenti, utilizzano parole che non si userebbero in una ricerca testuale, e vengono effettuate da persone di estrazione diversa.
Così come la SEO, quindi, non potrà più utilizzare le medesime tecniche (parole chiave messe in una determinata sequenza, frasi sintetiche e così via) anche il marketing dovrà cambiare prospettiva.
Invece di considerare solamente il prodotto, il servizio, il bisogno e il soddisfacimento dello stesso, sarà essenziale prendere in considerazione le esigenze dell’utente implicite nella query di ricerca, saperle analizzare, comprendere e utilizzare a proprio favore in una strategia di marketing.
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